Yaghia

La cerimonia del fuoco

Il culto del fuoco

Fra le tante pratiche che Babaji ci ha insegnato, c’è il rituale del fuoco. Questo antico culto è stato osservato non solo in India, ma anche in molte altre civiltà precristiane: nell’Impero Romano, fra gli Incas, i Giapponesi, i Sumeri, i Tibetani.
Entrando in contatto con il fuoco come elemento purificatore, esso comincia a rivelare i suoi segreti.
Il fuoco in India viene considerato una sostanza sacra, un elemento di unione fra il mondo visibile e quello invisibile, una energia di trasformazione della materia.
Il fuoco è luce e quando la luce arriva durante la meditazione, scende dall’alto e accende dal di sotto il fuoco della Kundalini. La sostanza che si libera attraverso questo processo arriva al corpo e lo invade, avviene l’unione Dio-uomo, cielo-terra. È proprio qui che possiamo comprendere la relazione fra microcosmo e macrocosmo, in cui tutte le manifestazioni fisiche sono viste come parti di un continuo processo di mutamento dell’energia. Il fuoco diventa lo strumento di una trasmutazione alchemica.

Agni (Il fuoco)

Il culto del fuoco è uno dei motivi dominanti nelle scritture dei Veda. Il sacrificio al fuoco viene visto come un rito magico, durante il quale vengono fatte delle offerte agli Dei, controllori celesti delle potenti forze della natura, per assicurare la continuità delle condizioni favorevoli al genere umano. Il messaggero fra cielo e terra è Aghni, il fuoco, le cui fiamme salgono, così come l’aroma delle offerte bruciate, nell’ascesi dell’oblazione.
Oltre a ciò, vengono attribuite ad Aghni importanti funzioni. Egli è insito in ogni essere, è il sacerdote degli Dei e il Dio dei sacerdoti. È l’ospite onorato in ogni casa, che, con la propria luce, allontana i demoni dell’oscurità. Nascendo di nuovo insieme a ogni fuscello di legna, è perennemente giovane e quindi immortale.
Il fuoco della pira funeraria è poi l’altare del morto, l’ultima offerta ad Aghni.
Garhpatya è il nome del fuoco domestico, il fuoco sacrificale della famiglia, che si trasmette di padre in figlio, costituendo così un profondo legame fra ciascuna generazione e stabilendo il rapporto con il Divino. Mantenere costantemente acceso il Garhpatya è il dovere religioso di ogni capofamiglia, poiché in mancanza di questo fuoco, è preclusa la celebrazione dei riti purificatori, in occasioni come la nascita, il matrimonio, la morte. Il fuoco conferisce sacralità agli avvenimenti principali della vita umana.

Il Dhuni

Il Dhuni è la fossa dove viene acceso il fuoco sacro, alcuni Dhuni sono perenni, cioè una volta accesi, non vengono più spenti.
Il modello di Dhuni che Babaji ha costruito a Haira Khan, (lo stesso presente a Cisternino) ha otto lati e simboleggia le otto braccia della Madre Divina e anche il chakra del cuore. Alimentando il fuoco e meditando su di esso, alimentiamo anche il nostro cuore e bruciamo tutte le impurità che coprono la luce interiore.
Lo Yaghya o Havan, è considerato un mezzo efficace per comunicare con l’energia divina ed è celebrato per mantenere l’equilibrio fra gli elementi della creazione e per armonizzare tutti i piani dell’esistenza.
Una antica preghiera sanscrita dice:

OM
Offro allo spirito del fuoco
meriti e colpe.
A questo fuoco offro
i miei sensi fisici
e uso le mie emozioni
come veicolo del sacrificio.

I mantra recitati durante una cerimonia del fuoco creano mutamenti nell’atmosfera, influenzando profondamente anche la psiche umana. I suoni dei mantra contengono l’essenza e il potere spirituale delle divinità, poiché secondo la scienza yogica, la vibrazione del suono delle varie lettere, ha una corrispondenza esatta con gli elementi del cosmo e del corpo umano.

Offerte al Fuoco

Al fuoco vengono offerti vari elementi, quelli che mantengono la nostra vita, la quale viene simbolicamente offerta a Dio.
Vengono così posti nelle fiamme riso, orzo e semi di sesamo; questi ultimi costituiscono la preghiera di eliminare anche i più piccoli semi karmici dalla nostra mente. Vengono poi offerti: acqua, latte, yoghurt, zucchero, burro fuso, miele, frutta, frutta secca, certe foglie, incenso, profumo e una noce di cocco che simboleggia l’abbandono del nostro ego.
Man mano che gli officianti compiono le offerte, recitano ad alta voce il mantra Swaha, che significa appunto: io offro.
L’Havan, o Yaghya è un rituale collettivo, volto a purificare tutti gli ostacoli interni ed esterni, che velano in noi la luce della conoscenza, rappresentata dal fuoco. Il calore delle fiamme simboleggia l’energia (la shakti) che ci serve per compiere il difficile cammino, il profumo che si sprigiona dalle offerte è l’aroma della presenza divina, il nettare degli Dei che ci deve impregnare per permetterci di raggiungere l’Altro Piano della Realtà.